Nelle scuole di ogni ordine e grado sono introdotti in orario curricolare – e quindi a scapito degli insegnamenti delle materie fondamentali – progetti dalle denominazioni suggestive e accattivanti (riguardanti i temi della salute, dell’affettività, della sessualità, ma anche dell’inclusione, degli stereotipi, della non discriminazione, eccetera).
Spesso tali corsi vengono avviati a prescindere dalla richiesta di una specifica autorizzazione scritta dei genitori e di una previa adeguata informazione su metodi e contenuti adottati. In ogni caso, i genitori sono il più delle volte indotti ad accettare la somministrazione di tali “insegnamenti” ormai diffusi per vari ordini di ragioni: per quieto vivere, per assuefazione, per convenienza, per sottovalutazione degli effetti.
Attraverso questi progetti scolastici, si mira a inoculare agli alunni, e a radicare in loro, le seguenti convinzioni:
che i ruoli, gli atteggiamenti e le inclinazioni tipicamente maschili e femminili, assorbiti e sperimentati anzitutto in famiglia, vanno bollati come “stereotipi”, e in quanto tali vanno demoliti;
che ciascuno è libero di scegliere il proprio genere identitario (a prescindere dai dati sessuali biologici e anatomici assegnatigli dalla natura) a seconda della percezione che ha di se stesso, che può essere anche mutevole o del tutto fluida;
che la famiglia non si fonda sull’unione tra un uomo e una donna, ma su ogni forma di convivenza, anche tra persone dello stesso sesso;
che l’omosessualità e in genere le sessualità “diverse” sono una normale variante della sessualità, da promuovere anzi come un valore per la società;
che è necessario conoscere il linguaggio e le pratiche della sessualità a partire dalla più tenera dall’età (secondo una visione pansessualista della esperienza umana).
È evidente come si punti a erotizzare precocemente gli scolari e a sovvertirne i naturali criteri di comportamento, in tal modo violentando la loro sensibilità, manipolando le loro coscienze ed espropriando la loro libertà morale (tutelata dall’art. 13 della Costituzione), insieme alla libertà educativa della famiglia (tutelata dall’art. 30 della Costituzione).
E tutto ciò si traduce in una alterazione forzata dei naturali processi cognitivi del soggetto in via di formazione, che si trova peraltro totalmente indifeso di fronte alla ingerenza dell’adulto, tanto più se questo veste i panni autorevoli dell’“educatore” o dell’”esperto”.
La cosiddetta “educazione di genere” – di cui spesso, per ragioni strategiche, viene spudoratamente negata l’esistenza – penetra nelle scuole camuffata dietro un lessico strumentale, fatto di slogan di ordinanza e di formule rituali ormai divenute vere e proprie parole d’ordine (destrutturazione degli stereotipi sessuali e sociali, rispetto delle diversità, contrasto alla violenza di genere, uguaglianza di genere, inclusione, eccetera): un lessico a cui quasi tutti hanno ormai fatto l’orecchio poiché suona come innocuo e persino edificante.
[La sociologa americana Marguerite A. Peeters, una delle prime studiose dell’argomento gender, afferma che «il gender procede mascherato (larvatus prodeo, come diceva Cartesio) per colpire al cuore. È come un insieme di cerchi concentrici con un nucleo duro radicale che esercita una forza centripeta. Il nucleo, tenuto nascosto, è fatto di assiomi indimostrati e indimostrabili tenuti insieme dal cemento armato della ideologia dura e pura. I cerchi più esterni, quelli visibili, sono i progetti a più ampio consenso, capaci di attirare la maggioranza delle persone e di evocare i sentimenti migliori. Il gender – dice ancora la Peeters – porta la maschera dell’“uguaglianza”, della “parità”, dell’“equità”, della “libertà di scelta”, dei “diritti”, della “dignità umana”, del “progresso”, dell’“autonomia”, dell’“emancipazione” o “promozione” della donna, della “compassione”, della “lotta contro le violenze”, della “non discriminazione” e di altri concetti altruisti, umanistici o umanitari dai quali molti si lasciano sedurre». Cfr. Marguerite A. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, San Paolo Edizioni, Milano, 2014]
La cosiddetta “educazione di genere” inoltre – come risulta dagli innumerevoli documenti ufficiali che la promuovono – è intimamente e programmaticamente connessa alla “educazione all’affettività e alla sessualità”. La funzione che quest’ultima assume, infatti, è proprio quella, prodromica, di disinibire i piccoli, inducendoli ad abbattere la soglia del pudore, a superare resistenze naturali ed educative e vincere ogni remora morale; di conseguenza, li predispone ad elaborare positivamente ogni istinto e successivamente ad assecondarlo: il sesso viene presentato loro come unico vero orizzonte, e ogni comportamento e tendenza sessuale come ugualmente buoni (il che è esattamente l’opposto della educazione rettamente intesa, che consiste nel fornire ai discenti gli strumenti cognitivi per aiutare a controllare gli istinti).
È bene sottolineare come le iniziative di questo genere rappresentino, tutte e indistintamente (ora più sfacciate ora più subdole), un evidente abuso del ruolo formativo della istituzione scolastica poiché di fatto aggrediscono la sfera più intima, profonda e personalissima degli alunni rischiando di provocare danni irreparabili. Questa sfera, inviolabile, va tenuta al riparo da qualsiasi tentativo di omologazione forzata in applicazione di criteri standardizzati (per ciò stesso arbitrari) poiché il percorso di maturazione psicofisica di ciascun soggetto segue tempi e modi propri, sui quali va commisurato ogni intervento educativo. In questo ambito la famiglia deve essere libera di seguire e guidare il percorso ritenuto più consono alla personalità del proprio figlio nel rispetto della sua sensibilità individuale.
Spetta ai genitori, sulla scorta di una opportuna conoscenza sia della matrice storico-politica di queste ideologie (agende ONU) sia dei loro obiettivi dichiarati, opporsi con ogni mezzo a che la scuola si renda veicolo di propaganda di un sistema di idee falso e destabilizzante per cui l’identità di una persona – che è in primis identità sessuata – sarebbe il frutto della sua autodeterminazione, sul presupposto che la personalità maschile o femminile non dipenderebbe dal dato biologico, bensì da una mera costruzione sociale.
Consci del fatto che ci troviamo di fronte a un vero e proprio sopruso perpetrato dalle istituzioni a nostro danno, è necessario non mancare di rivendicare il primato educativo della famiglia, quale è peraltro riconosciuto dalla legge e dalla stessa Costituzione italiana, contro ogni tentativo di manipolare le giovani generazioni scardinando i fondamenti ontologici della personalità dei soggetti in via di formazione attraverso la negazione del principio di realtà e contro ogni esigenza di ragione.
Elisabetta Frezza (riscossacristiana.it)