“Sei un pessimista!” Questo è quanto mi è stato rivolto da un giovane sacerdote durante una nostra conversazione in cui gli facevo notare che i tempi che stiamo vivendo sono caratterizzati da un’apostasia di massa le cui responsabilità sono da attribuire senza alcun dubbio anche a quella chiesa progressista tutta dedita ad andare a braccetto col mondo piuttosto che a stanare il peccato e combatterlo… “Sei un pessimista!”: la sua sentenza, inappellabile…
In un passo del Vangelo (Lc, 18, 8) Gesù disse queste parole: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” evidentemente sapendo cosa sarebbe successo negli anni a venire poiché tali profetiche parole non lasciano scampo ad equivoci.
Era dunque un pessimista anche Lui?
Secondo la visione della realtà di molti sacerdoti e soprattutto (è ciò che più sgomenta) secondo la “preparazione cattolica” ricevuta in molti seminari, bisognerebbe rispondere affermativamente. E non c’è di che stupirsi perché basta leggere Ranher o gli scritti del card. Martini o, ancora, le fesserie del monaco di Bose (personalità verso i quali tanti sacerdoti dicono di ispirarsi -compreso il mio interlocutore- ) per rendersi conto a che punto di grave e imbarazzante deriva teologica si è giunti.
Vediamo di fare un po' di chiarezza: a parte il fatto che "l’ottimismo è la virtù degli imbecilli" (come ha avuto modo di sottolineare il compianto vescovo di Como mons. Maggiolini rivolgendosi a coloro che sono restii a prendere atto della realtà che si presenta davanti agli occhi), qui non si tratta affatto di essere pessimisti bensì di vivere con animo sofferente (ma certo non passivo o rassegnato, tutt'altro!) nel vedere la Chiesa (il corpo mistico di Cristo!) tanto tradita da molti suoi membri che, assuefatti dal modernismo, oppressi dalla smania di piacere al mondo e indottrinati in seminari che andrebbero commissariati (come quelle aziende dirette da amministratori imprudenti e che tradiscono il proprio dovere di guida), senza accorgersene o peggio ancora, volontariamente distruggono in continuazione la vera dottrina cattolica per crearne una nuova facendo appello alla solita cantilena che, come un disco rotto, continua imperterrita a risuonare nell’aere parrocchiale: "Così dice il Concilio Vaticano II".
Per ribattere a questa colossale sciocchezza (detta per di più ed evidentemente da chi dimostra di non conoscere nemmeno i documenti del Vaticano II citato o fingendo di non badare al fatto che a tutt’oggi ci sono ancora grosse problematiche legate a quel Concilio) andrei subito al punto: il concetto di Messa.
Se si rammenta ai seguaci di Ranher e di Martini che la Messa è la partecipazione al sacrificio di Cristo e che si va alla Messa per contemplare il proprio Dio che è poi l’unico Dio vero ed esistente, ci si troverà di fronte a reazioni quantomeno strane o scomposte.
Forse ci si sentirà rispondere: è vero MA, è giusto PERO’… cioè si ricorrerà alla dialettica più subdola per comunque negare o sminuire i concetti affermati in precedenza…E se si osa anche solo nominare ciò che dovrebbe essere un’ovvietà e cioè la magistrale e assoluta valenza della Messa in rito antico (che, per inciso, è ed è sempre stata la Messa di sempre) apriti cielo! Preparatevi ad indossare l’elmetto in testa perché una violenta tempesta si abbatterà su di voi!
È davvero curioso notare l’ossessione manifesta dei seguaci di Ranher e di Martini nel dialogo con tutti (dove in una sorta di grave crisi d’identità - sono un sacerdote o un imam?- sempre ricorrono all’ edificante monito tettamanziano: è bene e giusto costruire Moschee…): dialogo con tutti tranne che con i cattolici che richiedono la celebrazione di una Messa in latino: per quest’ultimi solo divieti e intransigenza assoluta, come dire: guai la Messa in latino!
Mi limito a riportare le incisive parole del venerabile Padre Tomas Tyn, domenicano (estratto dalla Lettera indirizzata al Card. Ratzinger, 4 agosto 1985) :
«Infine desidero dire qualcosa sulla sacra liturgia, soprattutto per ringraziare l'E.V. per l'opera compiuta nel favorire l'indulto che permette la celebrazione del divino sacrificio secondo il rito di S.Pio V di venerata memoria. Ho già fatto pervenire, per mezzo del Rev. Padre Priore all'Em.mo Card. Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, una relazione sulle Messe tuttora celebrate nella basilica bolognese di S. Domenico e così dopo aver informato il mio Superiore immediato, Reverendissimo Padre in Cristo, oso esprimere la mia gioia anche a Lei.
Quanto santa e sublime è quella letizia della quale si riempie il cuore tanto del sacerdote celebrante quanto del popolo assistente, allorché quel rito, venerabile per l'antichità, viene compiuto, quel rito, cioè, che tutto e soltanto a Dio si volge, a Cui, come a Padre clementissimo, il Figlio crocifisso, nell'oblazione del suo divino sacrificio, rende somma gloria e lode, un rito tanto sublime in tutte le parole e i gesti di cui fa uso ed infine tanto bello ed elegante, tanto accetto al popolo che partecipa con viva fede (né è noto ai Cristiani un altro modo di vera partecipazione).
Non ho mai potuto capire, e neanche adesso riesco a capire, perché tanta bellezza debba esser stata espulsa dalla Chiesa. Si obietta che essa costituisce un certo diletto accessibile a pochi; ma - e ciò è degno di nota - simili "obiezioni" non è solita muoverle la gente semplice e devota, ma piuttosto una certa pretesa aristocrazia (tuttavia perversa, che meriterebbe piuttosto il nome di "cacocrazia"), fastidiosa e pseudo intellettuale, turbolenta per la sua presunzione, dedita al nichilismo che sostiene e produce il brutto al posto del bello».
No, guai la messa in rito antico! Resta allora da chiedersi: perché? Un sacerdote (per fortuna ce ne sono anche di buoni) mi ha risposto: "Perché la messa antica converte!"
Ma allora perché un ‘opposizione così violenta da parte di tanti sacerdoti (che si dicono cattolici)? …la risposta, che conduce al concetto di cosa sia/non sia la fede, mi sembra ovvia e drammatica… ma non ditelo a quei sacerdoti: con un ghigno sinistro, vi risponderanno che siete pessimisti…
Stefano Arnoldi