Don Davide Pagliarani, Superiore generale della Fraternità San Pio X, XVII Congresso teologico del Courrier de Rome, Parigi, 13 gennaio 2024
È nostro dovere offrire una sintesi, ed esprimere la posizione della Fraternità San Pio X di fronte a tutte le realtà promosse dalla “Chiesa sinodale”.
Cerchiamo innanzitutto di mettere ordine tra i diversi elementi, in particolare in relazione al recente documento Fiducia supplicans, che ha già fatto versare molto inchiostro. Occorre mettere questo avvenimento al suo giusto posto. Perché siamo arrivati a questo punto, e che cosa significa? Il ruolo della Fraternità non può limitarsi a una reazione immediata, istintiva: ci spetta di approfondire, per quanto possibile, il senso e la portata di questo testo. Se la nostra analisi manca di profondità, rischiamo di cadere nell’errore di alcuni che riducono la questione di Fiducia supplicans a un’eccentricità personale di Papa Francesco, di cui non si riesce a spiegare la stravaganza.
Altre reazioni a Fiducia supplicans riducono la questione delle benedizioni a una questione di opportunità: questa iniziativa sarebbe inopportuna in alcuni contesti culturali, soprattutto in Africa. La realtà è quantomeno un po’ più complessa… Tutte queste reazioni sono benvenute, sono positive in quanto manifestano ancora una certa capacità di reazione; ma la Fraternità ha il dovere di scendere più in profondità. Prendiamo dunque un po’ di distanza rispetto all’agitazione mediatica.
Fiducia supplicans non è, in senso stretto, un atto sinodale, ma un atto prodotto dal Dicastero per la Dottrina della Fede e firmato dal Papa stesso. Tuttavia, è un documento che risponde a quanto evocato a più riprese nella preparazione del Sinodo stesso. È dunque a tutti gli effetti una risposta a un’aspettativa attuale e sinodale.
Questa “Chiesa sinodale”, che noi cerchiamo di definire, è una Chiesa che ascolta tutti gli uomini: le periferie, la base, il mondo, nel più ampio senso del termine… una Chiesa che ascolta il “mondo” come tale. Dunque una Chiesa che mette in mostra una sensibilità nuova e una nuova volontà di andare incontro al mondo.
Nei fatti, questo pontificato risponde, sempre più completamente, alle aspettative ed esigenze del mondo contemporaneo, e più precisamente del mondo “politico”, nel più profondo senso del termine. In effetti, da un lato questo pontificato corrisponde a una visione politica che è oggi comunemente e universalmente condivisa. Dall’altro lato, si adatta anche ai metodi di una politica che vuole creare una nuova organizzazione sociale e che, lo si deve riconoscere, ha già trionfato in gran parte. Ora, perché la presenza dei rappresentanti della Chiesa è importante in questa riorganizzazione del mondo?
Non è la prima volta che si nota questo modo di procedere: quando ci sono dei princìpi nuovi, quando si vuole costruire una nuova società e riorganizzarla, è necessario che un’istituzione religiosa consacri tali princìpi. Questo è molto chiaro e corrisponde a una necessità radicata nel cuore dell’uomo. L’uomo, nel profondo di se stesso, manterrà sempre un fondo di religiosità. Ha bisogno di credere in qualcosa, e dunque di consacrare anche ciò che, in fondo, non ha niente di sacro. È un bisogno che rimane spesso inconscio, ma che si trova radicato nella natura umana. Perché? Perché l’uomo è stato creato per Dio. E nemmeno la Rivoluzione può cambiare la natura umana.
Prima o poi, dunque, il sacro deve riapparire per dare una dimensione trascendente a quanto si crede, ai princìpi che si considerano fondamentali. Lo vedete bene nella storia, presso gli Antichi, che rendevano sacro tutto ciò che era importante per loro: il potere, la forza, il fuoco, la terra, la fertilità. Molto più vicino a noi, la cosiddetta Rivoluzione francese, la rivoluzione liberale, ha fatto la stessa cosa: in quanto essenzialmente laica, operò un totale rifiuto del passato, una desacralizzazione di tutto ciò che faceva parte dell’antico ordine, della religione… ma al contempo ha voluto rendere in qualche modo sacra la ragione umana. Prendete anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Di dichiarazioni ne sono fatte ogni giorno, tanto più ai tempi nostri. Sono ricordate per qualche settimana, nella migliore delle ipotesi, ma non hanno una portata eterna. Diversamente, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo ha segnato per sempre, a quanto sembra, la Storia. Perché? Perché non è una semplice dichiarazione, ma un vero e proprio Credo. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo è redatta con la solennità di un Credo. Corrisponde a questa esigenza religiosa di sacralizzare i nuovi princìpi, i nuovi dogmi sui quali si è deciso di costruire la società contemporanea. Si potrebbero moltiplicare gli esempi.
E il Papa cosa fa? Che fa oggi la Chiesa? Vanno nella stessa direzione. Rendono sacro ciò che è fondamentale agli occhi del mondo di oggi. Diamo solo qualche esempio. Sappiamo come l’ecologia è predicata dal Papa, e da lui insegnata. Questa nuova teologia “ecologica” oltrepassa le considerazioni di opportunità, puramente legate a un momento storico. Si tratta di una nuova morale, predicata a tutti gli uomini, una morale trasversale proposta anche agli atei. Perché? Perché si deve rispettare questa Casa comune – che noi chiamiamo “creazione”, che è uscita dalle mani di Dio, ma che in sé, indipendentemente dal modo in cui la concepiamo e possiamo chiamarla, è la Casa comune di tutti. Si tratta di un carattere religioso, di un sigillo religioso, impresso su una predicazione e una richiesta insistente del mondo politico attuale. La Chiesa interviene apponendo questo sigillo religioso che, come abbiamo visto, corrisponde a una necessità molto reale.
Diamo un altro esempio: l’insistenza sul fatto che bisogna eliminare le gerarchie, uscire da una visione gerarchica della società, e da una visione gerarchica della Chiesa. Si esalta ora una società in cui il potere non è più gerarchico: è ripartito, ridistribuito. Donde l’autorità condivisa, la lotta contro il clericalismo, l’emancipazione della donna – che è un soggetto all’ordine del giorno già da qualche tempo: la Chiesa vuole che, anche all’interno della propria struttura gerarchica di governo, le donne abbiano un loro proprio posto. Tutto questo contro il tradizionale patriarcato, considerato come la causa sistemica e istituzionalizzata di una serie di abusi di potere nel corso della Storia. E, tra questi valori moderni che sono proposti a tutto il mondo, ma in particolare alla Chiesa perché li sacralizzi, c’è l’agenda LGBT. Fa parte di questi “valori”. Si assiste alla messa in azione di una sensibilità sinodale che deve inevitabilmente conformarsi alla sensibilità del momento, anche su questo ultimo punto.
Allo stesso tempo, un altro aspetto merita la nostra attenzione. La Chiesa è cosciente di aver perso credibilità, per diverse ragioni storiche, e quindi parte della propria influenza. In questo scenario, crede di aver bisogno di predicare ciò che è à la page per rimanere credibile. Ed è inevitabile: avendo perso di vista la dimensione soprannaturale della propria lotta e della propria missione nel mondo, la Chiesa ne risulta complessata di fronte al mondo stesso, presso il quale ha perso prestigio e credibilità. Cercherà dunque altri mezzi per tentare di restare credibile. E per essere compresa da questo mondo, dovrà parlarne il linguaggio. Grande illusione, perché la Chiesa non è fatta per questo, non è fatta per restare in una tale prospettiva orizzontale, come è ovvio.
Possiamo già trarre una prima conclusione, che ci permette di ben collocare Fiducia supplicans. Perché bisognava arrivare a questo punto? Ebbene, paradossalmente perché il mondo laico ha ancora bisogno della Chiesa, di questo sigillo religioso che la Chiesa sola può apporre. E d’altra parte, perché questa Chiesa, che ha perso credibilità, ha paradossalmente ancora bisogno del mondo per recuperarla. Questa duplice necessità ha creato una reale simbiosi, una sinergia sul terreno politico. Fiducia supplicans corrisponde a un’esigenza politica del momento.
Apriamo qui una parentesi filosofica per arrivare al cuore del problema. Questa prospettiva politica moderna è tributaria del pensiero moderno: ne è il riflesso, è l’immagine del pensiero moderno. E il pensiero moderno parte da una categoria fondamentale che è nuova: si tratta della coscienza, individuale o collettiva. A partire dalla coscienza l’uomo moderno ricostruisce innanzitutto il suo pensiero, e a partire da esso il mondo intorno a sé, questo mondo a cui la Chiesa stessa si dovrà adattare.
Ora, porre la coscienza come principio e fondamento di tutto il resto significa utilizzare un principio dissociato dalla realtà, da una realtà che, in ogni caso, perde il suo primato sulle intelligenze. In questo modo, si supera l’idea che ci sarebbe un ordine oggettivo da cogliere, e al quale ci si dovrebbe conformare. No, quest’ordine è stabilito dall’uomo, è la coscienza che lo scopre in se stessa. Ed è in funzione di quest’idea che si ricostruirà il mondo intorno a sé: è la politica moderna, nel più ampio senso del termine.
In altri termini, non c’è più un principio finalistico, una perfezione che starebbe nell’ordine delle cose. La felicità dell’uomo o della società non è più una finalità ricevuta, conforme alla loro natura. Questo ordine esterno delle cose non corrisponde più a ciò che la coscienza dovrà d’ora in poi definire: è essa stessa il nuovo principio di un nuovo ordine nel mondo. Non c’è dunque più né finalità né perfezione nel rispetto dell’ordine oggettivo delle cose.
In conseguenza, possiamo trovare nella politica moderna quattro caratteristiche, indissociabili, che si troveranno in parallelo nella Chiesa di Papa Francesco, nella Chiesa sinodale.
Innanzitutto, la politica moderna è ideologica. È ideologica in quanto sostituisce la realtà con la rappresentazione libera che la coscienza si è fatta. È chiaro: l’ideologia accompagna ogni espressione della politica moderna. Dietro ogni partito, non c’è una percezione della realtà oggettiva, c’è un’ideologia soggettivista.
Quanto alla seconda caratteristica, è auto-determinista. Conseguenza inevitabile: decide da sola ciò che deve essere, ciò che l’uomo deve essere. Costruisce un piano e un progetto da sola, senza partire dalla realtà, da un’analisi della realtà.
Terza caratteristica, la politica moderna è totalitaria. Dietro l’immagine della “libertà”, - la “liberazione” promessa da diversi secoli, soprattutto a partire dalla rivoluzione liberale – la politica moderna è totalitaria, perché è la realtà che deve conformarsi ad essa, anche a forza. Si incolla sopra la realtà concreta un’idea che si è concepita nella coscienza individuale o collettiva, e dunque si forza la realtà ad accettarla e a subirla. Da questo vengono i totalitarismi. Noi viviamo in un mondo totalitario: idee preconcette sono imposte alla realtà, e la forzano in un senso o nell’altro.
In quarto luogo: è convenzionale, non si fonda sull’ordine naturale, ma su un ordine convenzionale: il bene, ciò che si deve ricercare, è stabilito e scelto arbitrariamente dalla coscienza, non è percepito né accolto a partire dal reale.
Se questi quattro tratti della politica moderna non sono nuovi, è comunque interessante osservare come si applicano particolarmente alla Chiesa sinodale.
Ma prima di vedere questa applicazione, occorre ben comprendere che davanti a questa modernità, la Chiesa non può restare indifferente. Non c’è una terza possibilità:
o la Chiesa condanna il primato della coscienza sulla realtà, sulla Rivelazione, e tutta la politica moderna che ne deriva;
o la Chiesa entra in questo sistema.
Questo sistema è ovunque. Questa prospettiva, questa visione delle cose è onnipresente. Non si può pretendere di restare neutrali, senza esporsi troppo, senza condannare troppo, cercare di discutere, cercare di guadagnare qualcosa. No, no! Che cosa ha fatto la Chiesa fino al Concilio? Ha condannato questo sistema. Oggi, la Chiesa entra in questo sistema, lo fa proprio e lo benedice. È questo ciò che dobbiamo assolutamente cogliere.
La Chiesa sinodale è, a suo modo, ideologica. Si creano delle necessità pastorali che esistono solamente nella mente di colui che le concepisce; la dottrina non è più ricevuta, ma prodotta. Per esempio, pensate che ci siano nel mondo milioni di coppie LGBT che chiedono alla Chiesa di benedirle? No! Ma è importante per la Chiesa oggi, per le ragioni che abbiamo appena visto, di dare un segnale, un pegno. Documenti come Fiducia supplicans hanno un valore che è politico nei confronti del mondo, indipendentemente dal numero di benedizioni che saranno impartite. Poco importa che ci siano dei fedeli che sono contrari, degli episcopati interi che non sono favorevoli. A rigore, poco importa! Ciò che è importante, è che tali testi siano stati prodotti, pubblicati per ciò che significano politicamente.
Si ritrova pure l’aspetto auto-determinista. Sì, perché la Chiesa non si concepisce più in una struttura immutabile, stabilita da Dio, con degli obiettivi immutabili, con una missione immutabile. No, è una Chiesa che, secondo le circostanze storiche, e soprattutto secondo le esigenze del momento, è capace di mettersi in movimento e di darsi una nuova finalità, suscettibile di continua evoluzione.
La Chiesa sinodale è anche totalitaria. Perché? Perché si forza la Chiesa, in quanto corpo sociale, a conformarsi a dei princìpi che non le sono connaturali. Si forza con violenza la realtà delle cose. Donde numerose reazioni, quantunque diversificate tra loro. Si è spesso invocata un’apparente contraddizione nella Chiesa sinodale – che si apre a tutti gli uomini, dove tutti possono esprimersi, partecipare etc. – e allo stesso tempo alcuni atti piuttosto autoritari, da parte di Papa Francesco in particolare, in ogni caso sotto il suo pontificato. Questa contraddizione è stata evocata. Come risolverla? La risposta è semplice: la Chiesa sinodale è totalitaria. Si applicano dei concetti sulla realtà, delle idee che non le corrispondono; e necessariamente, quando si fa violenza, si forzano le cose, si è totalitari: si usa la propria autorità per forzare le cose, pur dicendosi in ascolto per altri versi.
Infine, è convenzionale: è la base sinodale che, teoricamente, suggerisce le scelte di governo. Ciò che è deciso è sempre presentato come tale: è l’insieme del popolo di Dio che, tramite il sensus fidei, suggerisce tale via o tale percorso da prendere.
Ecco quella che deve essere per noi una chiave di lettura. Si deve notare, nelle grandi decisioni di questo pontificato, la volontà di conformarsi il più possibile ai grandi princìpi del mondo di oggi, e del mondo politico, con tutto ciò che questo può implicare.
Consideriamo ora il sinodo come tale, in questo contesto. Il sinodo ha un ruolo particolare?
Non mi soffermerò sull’aspetto teologico, dottrinale, secondo il quale il sinodo rappresenta un’espressione della collegialità, della volontà di governare la Chiesa tutti insieme a partire dalla base.
Accanto a questo, il sinodo ha una funzione pratica, possiamo dire “politica”. A che cosa serve? Serve a far circolare delle idee che si vuole promuovere, che si vuole trasformare in legge, attribuendole a un’aspettativa, a un’attesa, a un’esigenza, a un bisogno del Popolo di Dio. E non si può non rispondere a quanto tutti sembrano chiedere dall’interno della Chiesa – perché si attribuisce tutto questo al sensus fidei. Ora, inevitabilmente, in tutto ciò che il Popolo di Dio sembra chiedere, si trova l’eco di tutto ciò che è aspettativa del mondo contemporaneo, molto semplicemente.
Se prendiamo il documento di lavoro del sinodo, l’Instrumentum laboris (Documento di lavoro per la prima sessione del sinodo sulla sinodalità - ottobre 2023, Allarga lo spazio della tua tenda) pubblicato più di un anno fa, ci troviamo di tutto! È un magma, una massa informe dove troviamo tutto e il contrario di tutto. Con un tale documento nelle mani, l’autorità sceglie ciò le sembra più opportuno. «Questo va bene, è il momento, il tempo è maturo, la situazione è pronta, possiamo procedere…».
Qual è la conseguenza inevitabile di questo modo di fare? A forza di dire sempre “sì” a tutto e al contrario di tutto, senza partire da un principio dottrinale, senza partire dalla realtà, ma unicamente ascoltando le aspettative del mondo, si finisce per fare scelte che sono al di fuori della realtà.
Sottolineo questo aspetto di disconnessione dalla realtà, perché la Chiesa sinodale è una Chiesa che pretende di essere in ascolto del mondo, con i piedi radicati nei sentimenti del popolo di Dio: in realtà, è utopica! La benedizione prevista da Fiducia supplicans non è semplicemente un errore, è un’utopia. Non ha senso. Vi è dietro il sogno chimerico di un mondo nuovo, e di una Chiesa completamente nuova che vive in armonia con esso. Si è di fronte a un’illusione utopica e millenarista. Al di fuori della realtà.
La realtà concreta, la vera realtà che la Chiesa è chiamata a conoscere e a predicare, è il Vangelo, il dogma, è Nostro Signore Gesù Cristo, la morale cristiana, la lotta contro il peccato. Ma tutto questo diventa, per i riformatori, una realtà astratta, che non ha più alcuna influenza sulla vita concreta. Ciò che conta nella prospettiva moderna, è la connessione con il Popolo di Dio: la si considera come l’unica realtà concreta, malgrado tutte le sue utopie, e la si oppone radicalmente a tutto ciò che è la dottrina della Chiesa; questa non è negata direttamente, ma messa da parte, considerata come verità astratta.
La Chiesa, presa in questo sistema, incatenata, incantata, intrappolata in questo sistema… la Chiesa necessariamente ascolta e cerca di soddisfare a tutte le aspettative della gente, senza indicare nessuna finalità, nessuna perfezione ultima; senza trascendenza, sena bene supremo da conseguire. Chi parla oggi della vita eterna?
Osserviamo lo stato della Chiesa, che conosce oggi un tale dibattito mondiale su certe “benedizioni”! Certo è un bene che ci siano state delle reazioni. Ma vedete a che punto siamo… E mentre interi episcopati dibattono sulla benedizione degli omosessuali, non si parla più del Vangelo, non si parla più di Nostro Signore, non si parla più della grazia, non si parla più della croce. Perché? Perché tutto questo è astratto.
La gerarchia della Chiesa si trova oggi in una situazione analoga a quella in cui si trovavano i padri di famiglia dopo il 1968. Parlo del padre di famiglia disilluso, che non sa più perché ha dei figli. Con la crisi del 1968 e tutto il deterioramento progressivo che ne è seguito, un padre di famiglia non sa più perché è padre. Non sa più a cosa deve educare, a quale scopo, perché… Che cosa fa allora un moderno padre di famiglia?
Innanzitutto, occorre che la sua famiglia stia insieme: perché, se non c’è uno scopo da raggiungere nell’educazione, che giustifica pienamente il ruolo del padre e della madre, la famiglia rischia di dislocarsi. Ma allora, finché un padre riesce a tenere insieme la propria famiglia, vede il proprio ruolo ridotto, per forza di cose, a rispondere unicamente a delle esigenze concrete o materiali. Il bambino ha fame, dunque gli si deve procurare il cibo; ha bisogno di istruzione, sarà dunque mandato a scuola; ha bisogno di fare sport, ha bisogno del medico, ha bisogno di essere vestito… e poi non se ne sa il perché. Invece di indicare una finalità, si risponde a delle esigenze, buone o cattive, ma che restano contingenti. È terribile.
La Chiesa sinodale corrisponde a tale paternità diminuita, menomata, del padre di famiglia post 1968. E cosa chiedono i figli molto spesso? Non necessariamente l’istruzione, ma ciò che corrisponde a dei capricci.
Con queste considerazioni, abbiamo ricollocato al giusto posto la possibilità di benedire le coppie irregolari o dello stesso sesso. Osserviamo ora questo avvenimento recente come appartenente a una storia più antica. Questo è importante per noi: notare il cedimento della Chiesa di fronte alla pressione del giorno.
Da dove viene tale pressione? Perché è così forte? Bisogna cogliere la portata di questa pressione sulla Chiesa, per capire la gravità di quanto la Chiesa ha deciso.
Ricordiamo questo principio: la Rivoluzione, per definizione, distrugge un ordine stabilito. Parliamo qui della Rivoluzione con la “R” maiuscola, nel più ampio senso del termine, che ingloba tutte le rivoluzioni possibili. La Rivoluzione distrugge ogni ordine e, per arrivarci, deve distruggere ogni distinzione: perché senza distinzioni non c’è più ordine possibile.
In una famiglia, per esempio, c’è un ordine perché ci sono delle distinzioni. Il padre non è la madre, non è il nonno, non è il figlio o la figlia: il padre è padre e non è altro. La madre è madre e non è altro. Ognuno ha un ruolo che gli corrisponde, e nella famiglia c’è un ordine stabilito per natura, che permette alla famiglia di raggiungere le proprie finalità.
Poiché la Rivoluzione distrugge ogni ordine, deve dunque distruggere ogni distinzione: non solo a livello della famiglia, ma a livello di tutta la società. Ma perché questa volontà di distruzione? Osserviamo questi princìpi in un’ottica teologica. Perché la Rivoluzione ha bisogno di distruggere ogni distinzione?
Perché tutte le distinzioni, in un modo o nell’altro, derivano e portano alla distinzione più fondamentale: quella tra l’umano e il divino, tra Dio e l’uomo. La prima rivoluzione comincia con Lucifero, che non accetta la distinzione che c’è tra lui e Dio. Tutto lo sforzo compiuto dal modernismo, che confonde soprannaturale e naturale, è una manifestazione di tale rivoluzione. La coscienza umana divinizzata è un’altra modalità della soppressione di questa distinzione fondamentale: in tal modo, l’uomo diventa il principio del bene e del male, il principio del vero e del falso.
In questa prospettiva, ogni distinzione tradizionale, legata al senso comune, deve essere soppressa, perché è una traccia della distinzione fondamentale che abbiamo ora evocato, un’eco della distinzione prima e ultima tra l’uomo e Dio: queste distinzioni sono parte integrante di un ordine rifiutato, che deve essere riconsiderato dalle fondamenta. Molto spesso si interviene allora sul linguaggio: si proibiscono alcune espressioni, alcune parole non possono più essere utilizzate, sono demonizzate, soprattutto se si tratta di espressioni che indicano distinzioni tradizionali.
Prendiamo un esempio molto concreto: le distinzioni tradizionali tra il maestro e l’allievo, il padrone e l’operaio, i genitori e i figli, i sacerdoti e i laici, le distinzioni tra i diversi popoli, tra le differenti religioni… Queste distinzioni sono soppresse o riconsiderate. L’accento viene posto su ciò che gli uomini hanno di comune: la terra, la Casa comune, la dignità umana, i diritti dell’uomo…
Ma concretamente, qual è l’ultima distinzione che deve essere soppressa? La distinzione più radicata nella natura fisica dell’uomo e degli animali. Quella che è uscita direttamente dalle mani di Dio il giorno della creazione. Di che distinzione si tratta? Maschio e femmina li creò (Gn 1, 2-28: «Dio creò l’uomo a sua immagine, all’immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. Dio li benedisse, e Dio disse loro: Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra, e sottomettetela; e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, e su ogni animale che si muove sulla terra».
Mt 19, 4: «Rispose loro: Non avete letto che in principio il Creatore, creò l’uomo e la donna».
Mc 10, 6: «Ma all’inizio della creazione, Dio creò l’uomo e la donna»).
Dio creò gli animali maschio e femmina. L’uomo e la donna: questa distinzione è la più immediata, la più evidente. E a questa distinzione sono legate delle funzioni ben precise, dei ruoli ben determinati.
Se sopprimete questa distinzione, o se la massa non riesce più a capirla, cercate poi di spiegare la bellezza della paternità, emanazione, applicazione qui sulla terra dell’autorità di Dio. È molto bello, è un concetto rivelato, san Paolo lo sottolinea. Un padre di famiglia che concepisce la sua missione come il prolungamento di quella di Dio sulla creazione, è molto nobile… Ma tutto questo diventa incomprensibile e deve essere distrutto. Si vuole giungere ad un’umanità dove non si comprende più chi è uomo e chi è donna, maschio e femmina. Si vuole arrivare a distruggere questa distinzione, se non altro nelle menti.
È un processo che parte da lontano, che ha una ragione molto precisa. Bisogna comprenderlo con tutte le sue implicazioni. Dietro tutto questo si nasconde una volontà diabolica. Nel senso teologico e profondo del termine. Fu Satana il primo a rifiutare ciò che lo distingueva da Dio, e vuole che tutti, senza eccezione, percorrano lo stesso cammino: «Sarete come Dio (Gn 3, 4-5: «Allora il serpente disse alla donna: Non è ero che morirete; ma Dio sa che, il giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno, e sarete come dèi, conoscerete il bene e il male»)».
E la soppressione di tutte queste distinzioni, in particolare dell’ultima, porta all’autodistruzione dell’umanità. Un’umanità dove non c’è più né padre, né madre - perché non si sa più che cosa siano un padre, una madre, un uomo o una donna - è una civiltà destinata a spegnersi. Non può continuare. Perché? Perché Satana è omicida. Dal principio, cerca di ingannare l’uomo per farlo perire. E ci riesce. Oggi tutti devono accettare questi princìpi, e la soppressione di queste distinzioni – certo con delle sfumature, delle tolleranze, perché bisogna nascondere abilmente il gioco. Tutti oggi devono obbligatoriamente accettare, in un modo o nell’altro, la soppressione di queste distinzioni, e dunque dell’ordine che presuppongono.
Ora, perché ha avuto luogo l’Incarnazione? Perché esiste la Chiesa? Qual è il ruolo della Chiesa? Qual è il ruolo del Papa? È esattamente di combattere tutto questo. È di ricordare quali sono le distinzioni: la prima, tra l’uomo e Dio, e tutte quelle che ne derivano, tutto ciò che ne consegue. Ricostruire questo ordine distrutto dal peccato, dalla Rivoluzione che ne è l’eco nella Storia, è la missione della Chiesa, la ragione dell’Incarnazione.
Ma cosa fanno gli uomini di Chiesa? Non solo vanno nello stesso senso del mondo contemporaneo, ma gli impartiscono la loro benedizione. Qui si coglie la gravità di Fiducia supplicans. È importante che ciascuno di noi faccia uno sforzo per capire la posta in gioco in ciò che sta avvenendo oggi. Questa agenda avanza. Poco importa che questa benedizione sia data o non data in qualche caso, perché non è il momento, forse non in Africa… il problema è molto più grave. Gli uomini di Chiesa hanno benedetto questa realtà. Come spiegarlo?
Ci si doveva arrivare. Siamo scandalizzati, ma non troppo sorpresi. Perché ci si doveva arrivare? Perché la morale è figlia del dogma, figlia della fede, e non il contrario. Io definisco le mie regole di condotta in funzione di ciò in cui credo circa l’uomo, Dio, l’anima, il peccato, la redenzione. In funzione di ciò che credo posso stabilire le mie regole di comportamento.
Prendiamo l’esempio della libertà religiosa, l’espressione più eclatante dell’errore moderno, della decadenza del dogma e della fede. La libertà religiosa è predicata da sessant’anni, dal Concilio. Che volete dunque? Se c’è la possibilità di scegliersi il proprio Dio, la propria idea di Dio, o nessuna idea di Dio, a fortiori si scelgono le proprie regole di comportamento, la propria morale, e si sceglie ciò che si vuole essere. Si può scegliere di cambiare ed essere “altro”, se non si è contenti di ciò che il buon Dio ci ha dato o del modo in cui ci ha fatti – secondo idee bizzarre sulla legge naturale, per esempio. Perché no? Poiché si può scegliere il proprio Dio, la propria religione – la Chiesa ora insegna questo – a fortiori si può scegliere qualsiasi altra cosa, si può scegliere con chi andare a vivere, e con chi fondare una famiglia, o un surrogato di famiglia.
L’ecumenismo è un altro esempio. Che cosa è l’ecumenismo? È il libertinaggio tra le religioni! E dunque necessariamente, se si è impregnati di questo spirito, prima o poi il libertinaggio dei costumi ne conseguirà. La morale è figlia del dogma. Il dogma è stato distrutto da molto tempo. Necessariamente se ne dovevano trarre le conclusioni. E Papa Francesco lo fa in modo alquanto logico. Ma il problema non comincia con lui.
Ecco il ruolo della Fraternità: cercare di rimontare alle cause, ai princìpi, per individuare le soluzioni adeguate.
Esistono degli elementi, in questa trama, che sono propri alla fase attuale della crisi della Chiesa? Ci sono elementi nuovi, lo dobbiamo riconoscere.
Ne richiamo solamente uno: è l’accecamento dello spirito. Viviamo in un momento in cui gli uomini di Chiesa sono ciechi. Non hanno più nemmeno l’inquietudine di chiedersi se sono in continuità o discontinuità con la Tradizione, per risolvere alcune questioni… Tutto questo è definitivamente superato. È l’accecamento più totale. Il peggiore dei castighi. L’accecamento dello spirito è un castigo di Dio. È la risposta di Dio che si ritira, che ritira la sua luce. È la risposta di Dio che resta in silenzio.
Perché? Perché durante sessant’anni non si voluto ascoltarlo. Allora Dio si ritira e mostra a tutti gli uomini di buona volontà ciò che accade senza di Lui: mostra le conseguenze di questo ritiro. È il castigo di colui che è preso dal mondo, che cerca continuamente la comodità offerta dal mondo, e soprattutto l’accomodamento con il mondo stesso. Prima o poi diventa cieco. Il mondo acceca con le sue sottigliezze. Il mondo acceca lo spirito e distrugge la volontà. È ineluttabile: o si condanna tutto ciò che c’è di male nel mondo, o ci lascia prendere, e prima o poi si diventa ciechi.
Ne consegue la perdita totale del senso soprannaturale, del retto giudizio; e non solo del giudizio sulle realtà soprannaturali, sulla Trinità, sulla redenzione… No, qui si sta perdendo il giudizio sulle stesse realtà naturali. Non si è più capaci di comprendere le distinzioni più elementari, evidenti, che sono iscritte nella natura umana. Non si è più capaci di difenderle per ciò che significano: è in senso proprio l’accecamento dello spirito.
Sessant’anni di errori, di caos, di menzogne. Sessant’anni di cedimento davanti al mondo. Ecco a cosa si arriva. Ecco cosa si benedice.
C’è una soluzione?
Sì! La prima è di credere nella grazia.
La preoccupazione di piacere al mondo, il timore di contraddirlo, procedono da una visione della realtà puramente naturale, puramente politica. Ecco perché ho insistito su questo termine. Si tratta di una visione puramente umana, nella quale la grazia non interessa più. Viene esclusa. Non ci si crede più!
E il mondo contemporaneo continuerà necessariamente nella direzione presa, perché non c’è un elemento soprannaturale capace di cambiarlo. Non c’è la grazia. Non c’è la redenzione capace di cambiare questo mondo. La redenzione ormai assumerà un altro significato.
Occorre credere alla grazia.
E l’altra soluzione segue logicamente: è la conseguenza della nostra fede nella grazia; Mons. Lefebvre la ricordava in ogni occasione, in ogni predica. È la quintessenza del tesoro che ci ha trasmesso. Una soluzione molto semplice, a condizione di capirla bene e di consacrarvisi interamente.
È il Cristo Re.
Dobbiamo ritornare al Cristo Re.
Abbiamo visto che il problema attuale è politico, tocca il mondo e tocca la Chiesa.
Ritornare al Cristo Re.
Re delle intelligenze, in primo luogo. Re delle menti. Il solo capace di illuminare soprannaturalmente e naturalmente. Abbiamo visto come, se si perde la luce soprannaturale, prima o poi si perde la luce sulle cose naturali più evidenti.
E Re dei cuori. Re dell’amore vero, della vera carità. È questo che manca. Tutti parlano di amore, ma se si perde la nozione di carità, se si perde la nozione di redenzione, se si perde la nozione di Dio, vedete bene come la parola “amore”, anche all’interno della Chiesa, può acquisire dei significati scandalosi. Si chiama amore ciò che amore non è. Si benedice l’amore, ma quale amore!
Re delle intelligenze, Re dei cuori, della vera carità… e Re dei popoli. Vedete l’inconsistenza di tutti questi falsi princìpi benedetti dalla Chiesa, in relazione alle loro conseguenze, ai risultati: mai il mondo è stato in una situazione così catastrofica. Il mondo è in guerra… e non c’è nessuno nella Chiesa che ricordi che la soluzione è nel Cristo Re. Perché? Perché hanno perso il lume soprannaturale, e con esso il lume naturale.
La questione della pace, il problema politico nel più nobile senso del termine, include una visione dell’uomo, della Storia, include un programma. E nella nostra situazione, nella situazione presente della Chiesa, si capisce ancora meglio il primato del Cristo Re; si capisce meglio a cosa ha portato l’abbandono di questa dottrina, di questo dogma, di questo principio… si vede a che cosa tutto questo ha portato: alla distruzione di ogni ordine, nella Chiesa e nel mondo.
Il Cristo Re non è un’idea astratta. Non è un sogno. Non è una chimera. È il solo mezzo dato alla Chiesa per restaurare tutte le cose. Ed è dato solamente alla Chiesa. Qui sta il paradosso: questo suo tesoro le è divenuto incomprensibile da quando vuole concepirsi non solo nel mondo ma del mondo. Eppure, il Cristo Re è il mezzo che solo la Chiesa può comprendere e offrire agli uomini. È il suo tesoro. È la quintessenza della sua dottrina sociale. La regalità di Cristo è stata affidata proprio a lei. Ella sola può predicarla e farla fruttificare. Solo tramite la Chiesa il Re dei re può regnare sugli uomini, Lui che è la Via, la Verità, la Vita (Cf. Giov. 14, 6).