Se un pastore non ama il suo gregge
SCALFARI - Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?
PAPA BERGOGLIO - «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene».
SCALFARI - Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa.
PAPA BERGOGLIO - «E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».
L’incapacità di amare e dunque l’incapacità di costruire alcunchè sono le cause per le quali oggi si deve tristemente assistere ad una società sfasciata e sfilacciata dove emerge con estrema chiarezza la crisi profonda dell’istituzione per eccellenza, la famiglia.
Il comportamento della maggior parte dei giovani d’oggi nelle relazioni sentimentali ne è la prova evidente: l’amore viene confuso con un sentimentalismo, spesso libertino, dove il piacere sessuale viene ridotto alla soddisfazione di un vorace egoismo carnale: dunque, si brucino le tappe e si strappino (almeno così si crede) tutti i veli del mistero dell’amore... e ovviamente, per non rischiare di ritrovarsi un bebè, si faccia ricorso agli anticoncezionali perché si sa, la nascita di una nuova vita è considerata un incidente di percorso(!).
E ancora: convivenze sempre più in aumento poichè nemmeno si sente più il bisogno di ufficializzare alla società, anche solo civilmente, l’unione raggiunta, a riprova che non ci si sente parte di un tutto né tantomeno portatori di certe responsabilità anche nei confronti della collettività, ma tutti sono assuefatti e affaccendati, costi quel che costi, dal grado di soddisfazione della propria vita privata e dei propri interessi soggettivi.
E quando si è stanchi o annoiati di un rapporto che non risponde più alle proprie esigenze, se si è conviventi, ci si dice semplicemente addio, se sposati, ecco il ricorso al divorzio, e la ricerca di una nuova relazione o unione può ripartire senza intoppi.
Curioso notare che più si vive in questo modo, invece della felicità, pare si ricavi alla lunga solo una forte dose di depressione e frustrazione per una vita che è presto deragliata dai binari sui quali si sarebbe voluto corresse all’infinito.
Ciò nonostante, se si chiedesse al giovane medio di oggi di motivare una concezione dell’amore e della vita siffatta, egli risponderebbe semplicemente che ognuno, se lo è veramente, deve sentirsi libero di fare ciò che gli pare e seguire l’idea di bene che egli ha, quello che ritiene bene per lui, per i suoi bisogni, per le sue esigenze, per la sua felicità…
E’ esattamente la stessa concezione espressa, come ama definirsi, dal vescovo di Roma, Bergoglio, nel noto passaggio dell’intervista concessa a Scalfari, sopra riportata.
Non c’è dunque da stupirsi se questo papa è amato e osannato dalla maggior parte dei giovani d’oggi poiché dalle sue parole, equivoche o non equivoche che siano, passa inesorabile il messaggio che suona come musica alle orecchie della società liquida e svagata del nostro tempo: fai pure ciò che vuoi purchè tu segua l’idea di bene che concepisci dentro di te…
Questo concetto tuttavia, non solo non è cattolico ma persino mostruosamente agghiacciante e sinistro perché corrisponde di fatto alla negazione che esista una verità sull’uomo che non sia una semplice creazione della libertà dell’uomo.
In altre parole ciascuno è libero di crearsi una propria idea di bene elevando la propria libertà a giudice supremo e insindacabile di ciò che è vero e di ciò che è falso, di ciò che è ritenuto giusto e sbagliato. È la propria libertà posta sul piedestallo del comando rinchiusa nella prigione della propria soggettività.
È possibile riassumere tutto con una parola? Sì: relativismo.
E si tratta proprio di quel relativismo da cui il precedente pontefice, Benedetto XVI, ha messo spesso in guardia e condannato: se si è infatti affetti da relativismo si è di conseguenza colpiti da un male profondo: la crisi della verità. Non esiste infatti la verità, ma la mia verità, la tua verità, tante verità, finendo per vivere in una vera e propria babele di concetti dove è considerato vero tutto e il contrario di tutto.
Il cattolico sa, viceversa, che non solo esiste una e una sola verità, ma che essa ha anche un nome: Gesù Cristo (Gv14, 1-12). Negare che esista La Verità, significa dunque negare Gesù Cristo! Poiché la Verità non è una dottrina ma una persona!
Se dunque non si fonda tutto su Cristo, come è possibile ritenere che, ad esempio, una relazione coniugale, una famiglia, possano rimanere saldi nel tempo davanti alle inevitabili difficoltà della vita? Quale futuro attenderebbe due giovani fidanzati che, intendendo costruire una vita insieme, non possiedono una visione del Bene che li trascende e verso cui tendere? Quale futuro attenderebbe quei due innamorati che non conoscendo la Verità non potrebbero perciò accedere ad un aiuto soprannaturale indispensabile per la buona riuscita del loro amore, della loro relazione?
Rispondere semplicisticamente che basta seguire la propria coscienza è una pura illusione perché nemmeno ciò mette al riparo da errori che possono rivelarsi grossolani e letali. Anche la coscienza abbisogna di essere formata in modo che diventi retta coscienza. E anche da qui traspare l’esigenza che la formazione di una retta coscienza provenga da ciò che è vero e da ciò che è vero bene. È del tutto velleitario costruire la propria vita, e nel caso di due innamorati, costruire l’amore senza sapere cosa sia l’amore. Così come è velleitario pensare di scoprire l'amore senza prima preoccuparsi di scoprire se stessi poichè per sapere cosa sia l’amore occorre prima sapere cosa sia l’uomo.
Solo la Verità, la sola e unica Verità, è in grado di soddisfare tali interrogativi, il rifiuto della quale è vivere una vita senza senso e in preda ad una sottile, angosciante e corrosiva disperazione: la condizione sperimentata dalla maggior parte della società contemporanea dove, ha scritto il card Caffara, “la cultura in cui viviamo è una cultura che in larga misura ignora la verità dell’amore perché ignora la verità circa l’uomo”.
Se dunque, come sbalorditivamente suggerito persino da papa Bergoglio, ciascuno deve conseguire la propria idea di Bene, cioè la propria Verità, che ne è della possibilità concreta di trovare invece la Verità, cioè Cristo, il nostro unico Salvatore, l’unica Persona in grado di scogliere l’enigma della nostra vita?
Si otterrebbe, come la triste realtà dimostra, una società composta da persone decapitate di ciò che consente loro di accedere al vero e al bene sommo: “una persona siffatta - spiega ancora il card. Caffarra - non potrebbe che concepire qualsiasi rapporto amoroso e sentimentale come coesistenza di due egoismi opposti, regolamentata dalle leggi di un dare/avere il cui bilancio finale deve essere in parità. Non è difficile allora rendersi conto che il grande discorso cristiano sulla coniugalità risulta semplicemente incomprensibile e irrealizzabile ad un uomo cosi fatto”.
Sarebbe dunque questo l’augurio che un pontefice rivolge al suo gregge?
Stefano Arnoldi