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Benedetto XVI interviene. Bergoglio ringrazia.

L'11 aprile scorso Papa Benedetto XVI ha rotto il suo silenzio mediante la pubblicazione di un testo apparso sulla rivista tedesca Klerusblatt; le motivazioni di tale intervento sono state chiarite dallo stesso Ratzinger: contribuire alla ripresa di una Chiesa sconvolta dagli scandali sessuali e sprofondata in una crisi tanto devastante quanto ormai conclamata.

Al di là delle questioni di merito sollevate dallo scritto di Benedetto XVI (a cui rimandiamo per l'approfondimento ad altri articoli), qui interessa riflettere sugli effetti generati da tale intervento.

Ebbene, in molti ambienti cosiddetti tradizionalisti ossia quelli che dai media e dalla stampa incarnerebbero la cosiddetta resistenza alla pastorale di Bergoglio, la lettura del documento emerito ha avuto l'effetto che produce un sorso d'acqua al disperato agonizzante nell'arsura del deserto: una vera e propria benedizione. E allora via col tessere ringraziamenti, elogi sperticati e lodi a non finire al Papa che con le sue parole ridarebbe uno squarcio di luce nella fitta oscurità del pontificato attuale...

E che dire dei commenti apparsi sui siti internet postati da fedeli entusiasti e quasi in estasi se si leggono certe espressioni cariche di tale trasporto dal far apparire Benedetto XVI più come una divinità che un papa di Santa Romana Chiesa, sebbene in volontaria ritirata dal febbraio 2013: “Il vero Papa è Benedetto XVI, non Bergoglio!”, si è letto a più riprese...

Ora, al di là della particolare “coerenza” di chi condanna i cosiddetti sedevacantisti (poiché non riconoscono come validi i Pontefici succedutisi a Pio XII) ma ritiene che il Papa possessore dei galloni della legittimità sia Benedetto XVI e non Papa Bergoglio, e al di là della curiosa situazione di chi fa le pulci al pontificato bergogliano e chiude entrambi gli occhi su quanto è macroscopicamente successo nei pontificati “conciliari” precedenti, resta un'amara constatazione in merito all'intervento di Papa Benedetto.

Dal momento infatti che la disamina del disfacimento della fede ed il crollo della credibilità della Chiesa per via di un clero apostata non ha saputo o voluto spingersi fino alla radice delle cause scatenanti, di nuovo si sono palesati i limiti di chi confonde le cause con gli effetti, perciò vien da sé che la pretesa di dare un contributo alla soluzione della crisi in atto rimane solo nelle sbandierate intenzioni.

Piuttosto, un primo concreto effetto si è realizzato: quello di aver rinchiuso in un recinto, quello conciliare, gran parte della cosiddetta resistenza al pontificato attuale di Bergoglio.

Strana resistenza quella, preoccupata più della forma che della sostanza poiché non si comprende come si possa puntare il dito sulle parole e gli atti di Papa Francesco quando il suo programma è il medesimo di quello dei suoi predecessori “ispirati” anch'essi dal Concilio Vaticano II di cui papa Benedetto è convinto assertore come chiaramente evidenzia nelle soluzioni prospettiche del suo scritto.

Così non sorprende nemmeno più di tanto come quella “resistenza”, inebriata di papismo, sia entrata tutta felice e contenta nel recinto conciliare purché condotta dal papa tedesco invece che da quello argentino.

Anche questo è un paradossale prodotto della crisi violenta che si è insediata in seno alla Chiesa e che cambiando geneticamente la religione cattolica ha azzerato prima di tutto la ragione.

Si realizza così quanto scriveva Marcel De Corte ne L'intelligenza in pericolo di morte: “La pastorale e la liturgia, abbandonate allo zelo astioso degli innovatori, alle tenebre di una intelligenza rimpinzata di illusioni ed alla volontà di potenza clericale, incitano in molti casi i fedeli a coadiuvare, con tutte le loro forze, coloro che sognano di cambiare l'uomo e il mondo. A quali lavaggi dei cervelli, a quali diluvi di demagogia questa religione […] ci ha fatti assistere!”.

Vi sono, in altre parole, resistenze (in verità, presunte tali) che, fedeli al pastore che più aggrada, lavorano più o meno inconsapevolmente per rafforzare ciò che danno ad intendere di voler osteggiare (le innovazioni vaticanosecondiste di Papa Francesco), col risultato di ritrovarsi proprio a braccetto dei papa-boys bergogliani nella realizzazione della neo-Chiesa.

Possiamo dunque anche soffermarci sulle disquisizioni in merito all'importanza o meno di un Papa emerito che interviene per voler “dare un contributo” e che, per la prima volta dal nefasto Concilio, comunque scopre l'acqua calda elencando una serie di mali che sono propagati da tempo in lungo e in largo nella Chiesa cattolica (tra cui anche nel suo pontificato); in realtà, se si intende rimanere ancorati ad una forma mentis che l'oggettività della realtà ha svelato essere imbevuta di principi o concetti erronei e avvelenati, tutto risulta tragicamente inutile. Una fede così concepita continuerà a propagare la sua disfatta.

A farne le spese è il sensus fidei, che alberga nel cuore di ogni fedele, che risulta svilito, umiliato e sbeffeggiato. È il secondo effetto che si genera quando la toppa è peggio del buco.

Certo, sappiamo che è assai facile cadere nel peccato di giudizio temerario e dunque ci guardiamo bene dal sondare le intenzioni di Papa Benedetto nell'intervenire pubblicamente nel dibattito sulla crisi in atto e sulla delicatissima questione degli scandali sessuali di sacerdoti depravati, tuttavia, non si può non riscontrare che gli effetti del suo intervento per ridare impulso al paziente moribondo si sono rivelati un contributo letale anziché salutare.

La forma mentis conciliare non può che accompagnarsi sempre a danni collaterali, ciò è congenito: nel caso specifico, ammettendo pure le buone intenzioni, sembra sia stato centrato alla perfezione l'obiettivo di fiaccare quanti più possibili dissidenti al corso conciliare così, guarda caso, come si è verificato a suo tempo con il Motu Proprio "Summorum Pontificum" (indetto per il recupero della Sacra Liturgia ma coll'insito ricatto di riconoscere la nuova messa del Concilio Vaticano II che ha in odio proprio la Messa "di sempre").

Questo perché lo scritto di Papa Ratzinger contempla un programma che non si discosta da quello del suo successore, ma corrisponde all'altra faccia di una stessa moneta: da una parte Bergoglio, dall'altra Benedetto XVI.

È la moneta del Concilio Vaticano II, del tutto identica a quelle maneggiate dai precedenti pontefici conciliari, a loro volta del tutto simili ai trenta denari del Vangelo dati a colui che doveva tradire la Verità. Altro che contributo per ridare vita alla Chiesa.


Stefano Arnoldi